di paola bianchi e ivan fantini
prove di abbandono è azione coreografica e stralci di lettura dal romanzo educarsi all’abbandono _ frammenti mutili.
All’azione coreografica di e con paola bianchi seguirà la lettura di alcuni brani del romanzo a opera dell’autore.
prove di abbandono abita luoghi, non attraversa spazi, che siano essi case private, luoghi condivisi da una comunità o abbandonati.
recensione di Laura Gemini
18/09/2016
SCRITTURE INCARNATE. RIFLESSIONI INTORNO A PROVE DI ABBANDONO
Da tempo le arti performative ci consegnano una “verità” che prima non si dava tanto per scontata. Una verità che si è sincronizzata con le forme del sapere – scientifico e culturale – per mostrare come l’esperienza umana non possa che essere nell’emergenza dell’unità mente-corpo, bios e logos e che nelle diverse accezioni di questa condizione è possibile vedere all’opera l’immaginario, sperimentare l’esistenza di un’immagine efficace, trasformativa, finanche curativa.
Ed è proprio in questi nodi che possiamo rintracciare il valore di un lavoro come Prove di abbandono, azione coreografica di e con Paola Bianchi, da e con Ivan Fantini e interventi sonori di Fabio Barovero che ha come punto di partenza il secondo romanzo di Fantini, Educarsi all’abbandono_frammenti mutili (edizioni Barricate) da cui Paola Bianchi ha estratto una serie di immagini coreografiche, su cui Barovero ha lavorato per la composizione musicale e di cui Fantini legge alcuni passaggi.
Da circa un anno questo lavoro – nato per abitare i luoghi, per costruire situazioni di vicinanza con numeri esigui di spettatori per volta – è stato ospitato prevalentemente, forse preferibilmente, nelle case private, poi in ambienti non usuali come librerie e osterie o nell’ambito di occasioni extra-teatrali ma anche in diversi festival. Da La luna e i calanchi di Aliano (direzione artistica di Franco Arminio) a Teatri di Vetro di Roma dove sarà possibile vederlo dal 29 settembre al 22 ottobre prossimi.
Nella scelta dei luoghi e delle occasioni in cui portare Prove di abbandono sta già una prima straordinarietà di questo progetto ovvero la valenza politica che risiede nella sua sostanziale indipendenza e nel fatto che la sua distribuzione dipende dal passa parola, dal coinvolgimento ospitale, dalle relazioni fra persone.
Scelta coerente fra l’altro con quell’idea di abbandono – sia nel titolo dell’azione scenica sia nel romanzo – che sta a significare non solo la resa, il venire a mancare di qualche cosa ma anche l’idea del dono, del lasciare qualcosa per qualcun altro in accordo con l’espressione del francese medievale à ban donner da cui deriva. Abbandonare come donare e donarsi – ma anche accettare di ricevere un dono, punti di partenza di ogni legame sociale sensato – è perciò il filo che lega le diverse parti di questo progetto che a ben vedere sembra fatto di molti doni e abbandoni.
Sebbene Prove di abbandono nasca quindi come necessità coreografica ispirata dal romanzo, sul piano della resa performativa la sequenza testo scritto-coreografia viene capovolta: prima la parte coreografica poi la lettura dalla viva voce dell’autore. Questa dinamica invertita può essere pensata come un ulteriore segno del senso politico del progetto che ribadisce scelte e percorsi di ricerca indipendente e anti-rappresentazionista che caratterizza gli ambiti espressivi nei quali da tempo entrambi si muovono.
Nonostante la dichiarazione di un’ispirazione dal testo sia esplicita, il lavoro di Paola non rappresenta il testo, non lo traduce in immagini riconoscibili, ma lo attraversa secondo percorsi che sono tutti suoi, interni, incarnati. E che ritroviamo nella danza chiusa, muscolare, poetica e tragica che è la cifra drammaturgica della sua coreografia. Qui Paola privilegia quella che nel suo libro-manifesto Corpo politico. Distopia del gesto, utopia del movimento, definisce “danza interna” e che, diversamente da quella “esterna” che pone come centrale il rapporto del corpo con lo spazio, si concentra sul dettaglio, sulla vibrazione del corpo, sulla sua energia evocando il simbolico che è nel bios cioè nella vita.
Come ha detto una spettatrice durante uno degli incontri dopo Prove di abbandono il corpo di Paola prepara il corpo degli spettatori all’ascolto della lettura del testo e delle sue parole incarnate, ancorate al vissuto del personaggio protagonista del libro e a una scrittura serratissima che chiede attenzione senza ammiccamenti, senza ricerca del consenso.
Educarsi all’abbandono_frammenti mutili è un romanzo che porta dentro alla storia di un personaggio e dei suoi deliri: quello che pensa, le esperienze che ricorda, le cose che fa ma che spetta al lettore mettere insieme guidato dalla struttura grafica del testo con i caratteri che cambiano, ad esempio, e soprattutto con i frammenti mutili: vere e proprie pagine bianche che chiedono al lettore di fare una pausa, di interrompere il flusso del romanzo il cui senso finale ci interpella come esseri umani, nella nostra capacità, o volontà, di educarci all’abbandono.
Ivan, che non è un attore, legge con la sua voce, con tutto il suo corpo – che è l’espressione di una provenienza, di un bios ancorato a un logos – e apparentemente senza guardare il pubblico si accorge di tutto. Di chi lo osserva, di chi chiude gli occhi per ascoltare meglio, di chi si distrae… Alla fine, quando anche lui si allontana dal leggio, si comprende l’operazione nel suo complesso, si pensa per immagini, si cominciano a riconoscere dei segni – ad esempio un gesto di Paola che richiama la copertina del libro di Katjuscia Fantini oppure una relazione tra la danza che sembra sciogliersi a un certo punto insieme alla melodia – pur sapendo che quei segni li abbiamo noi nella nostra testa, che quelle associazioni le produciamo da soli nel bisogno di ricondurre sempre l’ineffabile a qualche cosa di conosciuto o riconoscibile. Oppure soltanto perché il lavoro spettatoriale non è mai passivo.
Ph. @Bets
Le conversazioni che seguono sono il prodotto di una comunità temporanea che si costruisce ogni volta. Non è un semplice confronto fra pubblico e autori. Sensazioni e domande condivise hanno ben poco a che fare con la semplice curiosità di chi vede uno spettacolo. Rimandano piuttosto a quell’intreccio fra arte e vita che può riguardarci tutti, al dono che l’arte da sempre elargisce agli esseri umani.
ph Alice Guarini
recensione di Francesca Giuliani
2/11/2016
DIMENTICARE IL DOLORE ATTRAVERSO ESERCIZI DI STILE: LE "PROVE DI ABBANDONO" DI BIANCHI/FANTINI
2/11/2016
DIMENTICARE IL DOLORE ATTRAVERSO ESERCIZI DI STILE: LE "PROVE DI ABBANDONO" DI BIANCHI/FANTINI
Come raccontare il dolore? Come “donarlo” rivivendolo e
esorcizzandolo allo stesso tempo attraverso il dire e l’agire, il gesto e
la parola? Paola Bianchi, danzatrice e coreografa, e Ivan Fantini,
cuoco-scrittore (cuoco eterodosso e dimissionario, scrittore per urgenza
– come lui stesso si definisce) con il loro ultimo lavoro Prove di abbandono scelgono
di volta in volta un “piccolo” luogo in cui stare per “donar-si” in
racconti fatti di azioni dure, suoni spasmodici e ricordi dolenti. Dalle
case private a festival come quello ad Aliano organizzato dal paesologo
Franco Arminio, “La luna e i calanchi” fino al più recente “Teatri di
Vetro” diretto da Roberta Nicolai hanno attraversato, con il corpo l’una
e la voce l’altro, queste realtà per abitarle.
“Il luogo piuttosto che lo spazio –
citando dalla presentazione del lavoro Andrea Tagliapietra – è qualcosa
che ha a che fare con la memoria, con le emozioni e con il desiderio. I
luoghi stanno alla storia vissuta, come lo spazio sta al tempo
cronometrato. ”
Portato in scena in una sala della Tenuta
del Tempio antico a San Giovanni in Marignano all’interno di una
rassegna organizzata da Teatro dei Cinquequattrini, Prove di abbandono annuncia
già nel titolo qualcosa di provvisorio, modificabile, transitorio. Un
esercizio volto all’abbandono, un lasciarsi andare che dice sia il
negativo sia il positivo intrinseco nella parola fin dalla sua radice
più antica à ban donner, quindi donare e donarsi. Entrambi
vestiti di nero. Ivan Fantini è al mixer. Paola Bianchi è nello spazio
vuoto, di spalle, davanti a una decina di spettatori inizia
impercettibilmente a muovere strati di corpo. Il sonoro, una musica
elettronica metallica e sottile, piano piano invade la stanza
attraversando la danzatrice. La pelle delle spalle si comprime e
raggrinzisce, le braccia scattose si alzano con le dita delle mani tese,
i tendini sembrano uscire e i muscoli si evidenziano nella tensione di
un dolore che sarà poi narrato. Ora trema e crolla. Più aumenta il
tremore e più forte è il crollo mentre le note di un piano tristemente
risuonano.
Le braccia tese, rapite come da un
battito d’ali, scomposte, in avanti la testa le segue, le gambe non
sembrano reggere il peso e rallenta. E, come colpita in petto da una
lama tagliente, di nuovo riparte in un movimento vorticoso che avvolge
il corpo su se stesso. Queste immagini, a tratti iconiche, anticipano
quasi annunciandole le parole che Fantini leggerà di lì a breve.
Lo spazio si svuota e i ruoli si
scambiano. Lei è al mixer mentre lui va in scena. Il cuoco-scrittore
avanza al centro della stanza il leggio e come raccogliendo la presenza
lasciata dalla danzatrice nello spazio si allontana fino al muro per
avvicinarsi di nuovo lentamente al libro. Dondola, quasi scandendo il
tempo. Inizia la lettura di brandelli del suo ultimo romanzo, Educarsi all’abbandono_frammenti mutili.
La cadenza ritmicamente cantilenante,
cosparsa dal forte accento romagnolo, culla e rende più udibile
l’ascolto di quel dolore che scaturisce dalla parole dette. Il
protagonista descrive in prima persona stati di corpo, una corporeità
dolorosa e dolorante che attraversa ricordi di nature e animali, cibi
biologici e aule di scuola. La puzza di carne bruciata in una cucina
afosa sembra assuefare quell’Io che racconta il suo lento morire
interiore. Trema nelle parole del racconto, mentre davanti a noi
quell’oscillamento ritmico sembra necessario a esorcizzare il ricordo di
quel vissuto doloroso. Nel racconto che prosegue, in quell’interno che
brucia, nel respiro circonciso e nel battito sedato pronto a esplodere
sembra rintracciare tratti di corpo agiti da Paola Bianchi. La precisa
comunicabilità che si rintraccia tra l’azione performativa, la scrittura
e la musica – composta dal musicista Fabio Barovero – che sottende le
parole e i gesti, la sovrapposizione tra memoria e i ricordi sul
presente mostrano come quel dolore sia qualcosa di necessario da
trasmettere.
recensione di Giulia Chiaromonte
6/10/2016
Prove di abbandono, presente al festival romano Teatri di Vetro 10 nell’insolita location di Tuba – luogo intimo e delicato che è al tempo stesso un bazar e una libreria e uno spazio performativo – è un lavoro attento ai dettagli e fuori dal comune.
Dalla presentazione dello spettacolo si può leggere: “un dialogo a tre voci, tre linguaggi diversi che si compenetrano e sostengono vicendevolmente”. Tale dialogo è portato avanti da Paola Bianchi, danzatrice e coreografa, Ivan Fantini, scrittore, e Fabio Barovero, musicista. Il percorso nel quale i tre artisti ci fanno immergere parte proprio dal nocciolo che vi è dentro al frutto del termine abbandono: “La parola abbandono contiene in sé molti significati” – scrive Paola Bianchi – “lasciare definitivamente, smettere, desistere / lasciare senza aiuto o protezione / smettere di fare, rinunciare, mettere da parte / allentare, lasciare andare, rilassare / venire meno, venire a mancare / non opporre resistenza”.
Assistiamo a tre sfumature diverse, ramificazioni di questo concetto, appartenenti alla stessa radice, portata, donata, in modalità differenti a seconda del donatore, che sia in musica, a parole o con il corpo. Uso i termini “donare” e “donatore” perché abbandono/abbandonare/abbandonarsi in accordo con l’espressione francese medievale, à ban donner, è anche donare, donarsi e infine, ricevere in dono. L’azione del pubblico è dunque attiva e ha lo scopo di accogliere questo dono e partecipare silenziosamente al processo che davanti a lui, in quella piccola intimità, si crea mano a mano, come se tre giocatori si passassero la palla davanti alla restante squadra, silenziosa ed attenta.
Il corpo di Paola Bianchi si muove su musiche rarefatte, con movimenti interni, scattosi, muscolari, quasi come se al suo interno ci fossero delle viti che mano a mano le venissero tolte, muri fisici e mentali abbattuti di volta in volta; questo processo è descritto dettagliatamente da Paola nel suo libro-manifesto Corpo politico. Distopia del gesto, utopia del movimento , in cui spiega come miri ad una danza “interna”, attenta nei ai dettagli, che non badi al rapporto del corpo con lo spazio esterno. I suoi movimenti preparano l’atmosfera (preparano, non la descrivono) alle letture di Ivan Fantini dal suo libro Educarsi all’abbandono, frammenti mutili: deliri di un personaggio accerchiato, dalla natura, dal logorio dei giorni, dal rimuginare umano, un vorticoso dialogo serrato e crudele con se stesso e con un mondo sordo. Ivan porta in scena ciò che sente, senza ammiccamenti o inutili estetismi e questo si sente e si apprezza, ma troppo spesso il testo appare quasi un pretesto di sfogo che non riesce a comunicare propriamente con lo spettatore, soprattutto in un contesto in cui il fil rouge è quello di donare e donarsi. Fabio Barovero, invece, ci guida durante tutta la performance con un tappeto musicale che sorregge e cammina di pari passo con i due artisti fino a concludere con un solo scomposto e malinconico.
La performance risulta essere una concatenazione di linguaggi, scostanti dal reale ma che parlano del reale. Prove di abbandono ha bisogno di ascolto e di raccoglimento; un lavoro bivalente, da attuarsi sia da parte del pubblico che da parte dei performer, un esperimento, un atto di ab handen, un essere lasciato andare al suo destino e lasciato esistere, a briglia sciolta.
Prove di abbandono, presente al festival romano Teatri di Vetro 10 nell’insolita location di Tuba – luogo intimo e delicato che è al tempo stesso un bazar e una libreria e uno spazio performativo – è un lavoro attento ai dettagli e fuori dal comune.
Dalla presentazione dello spettacolo si può leggere: “un dialogo a tre voci, tre linguaggi diversi che si compenetrano e sostengono vicendevolmente”. Tale dialogo è portato avanti da Paola Bianchi, danzatrice e coreografa, Ivan Fantini, scrittore, e Fabio Barovero, musicista. Il percorso nel quale i tre artisti ci fanno immergere parte proprio dal nocciolo che vi è dentro al frutto del termine abbandono: “La parola abbandono contiene in sé molti significati” – scrive Paola Bianchi – “lasciare definitivamente, smettere, desistere / lasciare senza aiuto o protezione / smettere di fare, rinunciare, mettere da parte / allentare, lasciare andare, rilassare / venire meno, venire a mancare / non opporre resistenza”.
Assistiamo a tre sfumature diverse, ramificazioni di questo concetto, appartenenti alla stessa radice, portata, donata, in modalità differenti a seconda del donatore, che sia in musica, a parole o con il corpo. Uso i termini “donare” e “donatore” perché abbandono/abbandonare/abbandonarsi in accordo con l’espressione francese medievale, à ban donner, è anche donare, donarsi e infine, ricevere in dono. L’azione del pubblico è dunque attiva e ha lo scopo di accogliere questo dono e partecipare silenziosamente al processo che davanti a lui, in quella piccola intimità, si crea mano a mano, come se tre giocatori si passassero la palla davanti alla restante squadra, silenziosa ed attenta.
Il corpo di Paola Bianchi si muove su musiche rarefatte, con movimenti interni, scattosi, muscolari, quasi come se al suo interno ci fossero delle viti che mano a mano le venissero tolte, muri fisici e mentali abbattuti di volta in volta; questo processo è descritto dettagliatamente da Paola nel suo libro-manifesto Corpo politico. Distopia del gesto, utopia del movimento , in cui spiega come miri ad una danza “interna”, attenta nei ai dettagli, che non badi al rapporto del corpo con lo spazio esterno. I suoi movimenti preparano l’atmosfera (preparano, non la descrivono) alle letture di Ivan Fantini dal suo libro Educarsi all’abbandono, frammenti mutili: deliri di un personaggio accerchiato, dalla natura, dal logorio dei giorni, dal rimuginare umano, un vorticoso dialogo serrato e crudele con se stesso e con un mondo sordo. Ivan porta in scena ciò che sente, senza ammiccamenti o inutili estetismi e questo si sente e si apprezza, ma troppo spesso il testo appare quasi un pretesto di sfogo che non riesce a comunicare propriamente con lo spettatore, soprattutto in un contesto in cui il fil rouge è quello di donare e donarsi. Fabio Barovero, invece, ci guida durante tutta la performance con un tappeto musicale che sorregge e cammina di pari passo con i due artisti fino a concludere con un solo scomposto e malinconico.
La performance risulta essere una concatenazione di linguaggi, scostanti dal reale ma che parlano del reale. Prove di abbandono ha bisogno di ascolto e di raccoglimento; un lavoro bivalente, da attuarsi sia da parte del pubblico che da parte dei performer, un esperimento, un atto di ab handen, un essere lasciato andare al suo destino e lasciato esistere, a briglia sciolta.
18/09/2016
SCRITTURE INCARNATE. RIFLESSIONI INTORNO A PROVE DI ABBANDONO
Da tempo le arti performative ci consegnano una “verità” che prima non si dava tanto per scontata. Una verità che si è sincronizzata con le forme del sapere – scientifico e culturale – per mostrare come l’esperienza umana non possa che essere nell’emergenza dell’unità mente-corpo, bios e logos e che nelle diverse accezioni di questa condizione è possibile vedere all’opera l’immaginario, sperimentare l’esistenza di un’immagine efficace, trasformativa, finanche curativa.
Ed è proprio in questi nodi che possiamo rintracciare il valore di un lavoro come Prove di abbandono, azione coreografica di e con Paola Bianchi, da e con Ivan Fantini e interventi sonori di Fabio Barovero che ha come punto di partenza il secondo romanzo di Fantini, Educarsi all’abbandono_frammenti mutili (edizioni Barricate) da cui Paola Bianchi ha estratto una serie di immagini coreografiche, su cui Barovero ha lavorato per la composizione musicale e di cui Fantini legge alcuni passaggi.
Da circa un anno questo lavoro – nato per abitare i luoghi, per costruire situazioni di vicinanza con numeri esigui di spettatori per volta – è stato ospitato prevalentemente, forse preferibilmente, nelle case private, poi in ambienti non usuali come librerie e osterie o nell’ambito di occasioni extra-teatrali ma anche in diversi festival. Da La luna e i calanchi di Aliano (direzione artistica di Franco Arminio) a Teatri di Vetro di Roma dove sarà possibile vederlo dal 29 settembre al 22 ottobre prossimi.
Nella scelta dei luoghi e delle occasioni in cui portare Prove di abbandono sta già una prima straordinarietà di questo progetto ovvero la valenza politica che risiede nella sua sostanziale indipendenza e nel fatto che la sua distribuzione dipende dal passa parola, dal coinvolgimento ospitale, dalle relazioni fra persone.
Scelta coerente fra l’altro con quell’idea di abbandono – sia nel titolo dell’azione scenica sia nel romanzo – che sta a significare non solo la resa, il venire a mancare di qualche cosa ma anche l’idea del dono, del lasciare qualcosa per qualcun altro in accordo con l’espressione del francese medievale à ban donner da cui deriva. Abbandonare come donare e donarsi – ma anche accettare di ricevere un dono, punti di partenza di ogni legame sociale sensato – è perciò il filo che lega le diverse parti di questo progetto che a ben vedere sembra fatto di molti doni e abbandoni.
Sebbene Prove di abbandono nasca quindi come necessità coreografica ispirata dal romanzo, sul piano della resa performativa la sequenza testo scritto-coreografia viene capovolta: prima la parte coreografica poi la lettura dalla viva voce dell’autore. Questa dinamica invertita può essere pensata come un ulteriore segno del senso politico del progetto che ribadisce scelte e percorsi di ricerca indipendente e anti-rappresentazionista che caratterizza gli ambiti espressivi nei quali da tempo entrambi si muovono.
Nonostante la dichiarazione di un’ispirazione dal testo sia esplicita, il lavoro di Paola non rappresenta il testo, non lo traduce in immagini riconoscibili, ma lo attraversa secondo percorsi che sono tutti suoi, interni, incarnati. E che ritroviamo nella danza chiusa, muscolare, poetica e tragica che è la cifra drammaturgica della sua coreografia. Qui Paola privilegia quella che nel suo libro-manifesto Corpo politico. Distopia del gesto, utopia del movimento, definisce “danza interna” e che, diversamente da quella “esterna” che pone come centrale il rapporto del corpo con lo spazio, si concentra sul dettaglio, sulla vibrazione del corpo, sulla sua energia evocando il simbolico che è nel bios cioè nella vita.
Come ha detto una spettatrice durante uno degli incontri dopo Prove di abbandono il corpo di Paola prepara il corpo degli spettatori all’ascolto della lettura del testo e delle sue parole incarnate, ancorate al vissuto del personaggio protagonista del libro e a una scrittura serratissima che chiede attenzione senza ammiccamenti, senza ricerca del consenso.
Educarsi all’abbandono_frammenti mutili è un romanzo che porta dentro alla storia di un personaggio e dei suoi deliri: quello che pensa, le esperienze che ricorda, le cose che fa ma che spetta al lettore mettere insieme guidato dalla struttura grafica del testo con i caratteri che cambiano, ad esempio, e soprattutto con i frammenti mutili: vere e proprie pagine bianche che chiedono al lettore di fare una pausa, di interrompere il flusso del romanzo il cui senso finale ci interpella come esseri umani, nella nostra capacità, o volontà, di educarci all’abbandono.
Ivan, che non è un attore, legge con la sua voce, con tutto il suo corpo – che è l’espressione di una provenienza, di un bios ancorato a un logos – e apparentemente senza guardare il pubblico si accorge di tutto. Di chi lo osserva, di chi chiude gli occhi per ascoltare meglio, di chi si distrae… Alla fine, quando anche lui si allontana dal leggio, si comprende l’operazione nel suo complesso, si pensa per immagini, si cominciano a riconoscere dei segni – ad esempio un gesto di Paola che richiama la copertina del libro di Katjuscia Fantini oppure una relazione tra la danza che sembra sciogliersi a un certo punto insieme alla melodia – pur sapendo che quei segni li abbiamo noi nella nostra testa, che quelle associazioni le produciamo da soli nel bisogno di ricondurre sempre l’ineffabile a qualche cosa di conosciuto o riconoscibile. Oppure soltanto perché il lavoro spettatoriale non è mai passivo.
Ph. @Bets
Le conversazioni che seguono sono il prodotto di una comunità temporanea che si costruisce ogni volta. Non è un semplice confronto fra pubblico e autori. Sensazioni e domande condivise hanno ben poco a che fare con la semplice curiosità di chi vede uno spettacolo. Rimandano piuttosto a quell’intreccio fra arte e vita che può riguardarci tutti, al dono che l’arte da sempre elargisce agli esseri umani.
ph Alice Guarini
recensione di Enrico Pastore
29/03/2016
PROVE DI ABBANDONO DI E CON PAOLA BIANCHI E IVAN FANTINI
Abbandono.
Parola complicata. Un oscillare tra positivo e negativo, entrambi bordi
d’abisso. Da una parte un dare in balia, dall’altra un lasciar andare,
un affidarsi completamente. E questo fluttuare è ambiguo anche
nell’etimo. A bandon, vendere all’asta, all’arbitrio del miglior offerente; oppure Ab Handen,
l’essere fuor di mano di un oggetto, un lasciarlo andare al suo
destino, come una barchetta al destino dell’onda, un lasciarlo esistere
con le sue forze senza imbrigliarlo nella funzione. Se a questo
metafisico dondolio si aggiunge la parola: prova, tutto si fa ancor più
complesso nel suo tendere ai confini di due estremi.
Le azioni coreografiche di Paola Bianchi e le letture di Ivan Fantini, dal suo libro educarsi all’abbandono: frammenti mutili, sono
dunque agite tra l’essere lasciati e il lasciar andare. Una danza
composta di gesti attivi, a volte violenti, ma subito lasciati,
abbandonati. Un corpo in movimento, a scatti, frastagliato nei ritmi,
schizofrenico nell’agire degli arti a diverse velocità e ritmi, nel
perpetuo dondolio tra il lancio e l’abbandono a una caduta, sia essa
tragica e non voluta, sia essa volontaria.
E
poi il testo di Ivan Fantini. Episodi, stralci, frammenti di un
agire-patire a volte in una cucina ossessionata dallo sfrigolar di carni
su una griglia, che ricorda un po’ gli inferni di Emanuel Carnevali
nelle cucine d’America; a volte in una campagna popolata da animali
dotati della potenza dello spirito dei tempi antichi, con oggetti dotati
di forza, di significati che vanno ben oltre il loro consueto. Un
essere accerchiati da azioni, cose, animali che potenti oltre ogni dire,
lasciano in balia, abbandonato alle proprie miserie, a pensieri
vorticosi che non trovano sbocco perché avulsi da una natura che se ne
frega del nostro rimuginare.
Danza
e parola, corpo e suono, perché musicisti si alternano nei diversi
luoghi improvvisando sonorità che si intersecano con i diversi stati e
strati di abbandono. Anche i luoghi dove avvengono queste azioni è
significativo: in abitazioni private, in luoghi abbandonati, oscillando
tra il privato e l’assente, dove il pubblico è lì per invito, come
ospite, non come a teatro dove paga ed entra a godersi
l’intrattenimento. Certo, molti diranno, mica da oggi si fanno azioni
artistiche, performance, in casa o in luoghi che non siano teatro, mica
c’è da stupirsi. Eppure il consueto è portatore di fresche brezze di
senso. Non perché abbiamo sentito mille volte il tema dell’habanera di
Carmen, il senso di pericolo e di furiosi spiriti liberi e vitali vien
meno, anche se viene usata per pubblicizzare un detersivo. La maestria
del fare, dell’artista vero che agisce solo perché spinto da intime
esigenze che profonde scuotono il suo essere, non cade mai nello
scontato. Solo il mestierante e il dilettante ricadono nel circolo
vizioso della consuetudine, perché incapaci di sfuggire all’attrazione
del consenso, del facile, dell’ovvio. La commozione, come insegna
Morandi con le sue nature morte, – sempre quelle bottiglie, sempre loro
-, può abitare anche sulla tavola grezza della casa di campagna.
2017
15 febbraio
2016
15 febbraio
Dispaccio Filosofico _ Rimini
11 aprile
Università degli Studi Carlo Bo _ Urbino
23 aprile
11 aprile
Università degli Studi Carlo Bo _ Urbino
23 aprile
Teatro Sociale _ Novafeltria RN
6 maggio
6 maggio
Artemovimento _ Torino
11 maggio
casa privata _ Lucca
21 maggio
11 maggio
casa privata _ Lucca
21 maggio
Pesaro
9 giugno
San Marino
10 giugno
Reggio Emilia
9 giugno
San Marino
10 giugno
Reggio Emilia
2016
28 febbraio
Libreria Il Catalogo _ Pesaro
18 marzo
Residenza San Salvario _ Torino
19 marzo
casa privata _ Torino
20 marzo
Mulino VeroSound
Rivoli _ TO
21 marzo
Scoop _ Torino
22 aprile
casa privata _ Roncofreddo FC
23 aprile
casa privata _ Rimini
24 aprile
casa privata _ San Giovanni in M. RN
7 maggio
7 maggio
casa privata _ Bologna
8 maggio
18 settembre8 maggio
Circolo Ribalta _ Vignola MO
10 maggio
12 giugno
10 maggio
casa privata _ San Clemente RN
28 maggio
ex macello _ Rimini
29 maggio
ex macello _ Rimini12 giugno
Settima Fila _ Pesaro
25 giugno
25 giugno
mijic architects _ Rimini
17 luglio
Nell'arena delle balle di paglia _ Cotignola
20-25 agosto
20-25 agosto
Festa della paesologia _ Aliano
14 settembre
14 settembre
casa privata _ Cagliari
16 settembre
16 settembre
casa privata _ Cagliari
casa privata _ Cagliari
29 - 30 settembre
27 ottobre
29 - 30 settembre
festival TDV _ Roma
1 ottobre
1 ottobre
festival TDV _ Roma
14 ottobre
14 ottobre
festival TDV _ Vignanello VT
15 ottobre
15 ottobre
festival TDV _ Calcata VT
16 ottobre
16 ottobre
festival TDV _ Trevigiano Romano RM
21 ottobre
21 ottobre
festival TDV _ Tuscania VT
22 ottobre
22 ottobre
festival TDV _ Bolsena VT
27 ottobre
Tenuta del Tempio Antico _ San Giovanni in M. RN
8 dicembre
MAT _ Viterbo